Soccorso ai migranti – di Stefano de Dominicis
Stefano de Dominicis ha pubblicato in un gruppo su Facebook alcune belle e condivisibili considerazioni sulla tagedia dei migranti che ogni giorno perdono la vita in Mediterraneo.
Una considerazione personale a seguito delle ultime notizie e di svariati post che mi è capitato di leggere ultimamente.
Dovendo affrontare alcune navigazioni in zone e periodi dove è piuttosto alta la probabilità di imbattersi nei “barconi della disperazione”, ho ritenuto opportuno e doveroso, cercare di informarmi su come poteva essere affrontata al meglio una tale evenienza. Ho quindi parlato con diversi responsabili della Guardia Costiera e delle Capitanerie di Porto che, in questi ultimi anni, si sono trovati ad operare in “prima linea”.
Il risultato, almeno per me, è stato sconvolgente! Ho ascoltato racconti di situazioni terribili. Ho visto occhi di marinai temprati da tante burrasche, divenire lucidi al solo ricordo. Ho avuto i brividi sulla pelle al pensiero di potermi trovare, un giorno, in una situazione simile.
Purtroppo, infatti, c’è ben poco che una barca a vela da diporto ed il suo equipaggio, possano fare di realmente utile nel caso ci si imbatta in un barcone di disperati, magari in procinto di affondare. Per prima cosa, il solo fatto di avvicinarsi al natante in questione, provoca generalmente una (ovvia) eccitazione da parte degli occupanti, che rischia di far capovolgere l’imbarcazione stessa. Arrivando in prossimità del mezzo in difficoltà, si attiva una delle reazioni più naturali e comprensibili da parte di queste persone: quella di gettarsi in acqua per cercare di raggiungere il “salvatore”. E’ capitato, spesso, che madri gettassero in mare i figli chiedendo ai soccorritori di salvarli (almeno loro). E’ capitato che motovedette attrezzate con equipaggi addestrati, si trovassero circondati da centinaia di persone che cercavano di salire a bordo e impedivano, con la loro presenza intorno al mezzo, le manovre al mezzo di soccorso stesso.